lunedì 28 luglio 2014

Don Pasquariello "richiama" il Papa: Santità risolva le assurdità della Diocesi di Caserta, urge svegliare i nostri vescovi dal torpore

CASERTA - Nella Cappella Palatina della Reggia di Caserta, sabato, 26 luglio 2014, al Papa viene richiesto anche questo.
Santità, grazie. Sono il vicario generale di Caserta, don Pasquariello. Un grazie immenso per la sua visita qui a Caserta. Vorrei presentare una domanda: il bene che Lei sta portando nella Chiesa cattolica con le sue omelie quotidiane, i documenti ufficiali, specialmente l’Evangelii Gaudium, sono improntate soprattutto sulla conversione spirituale, intima, personale.
E’ una riforma che impegna, secondo il mio modesto parere, solo la sfera della teologia, dell’esegesi biblica e della filosofia. Accanto a questa conversione personale, che è essenziale per la salvezza eterna, vedrei utile qualche intervento, da parte di Vostra Santità, che possa coinvolgere di più il popolo di Dio, proprio in quanto popolo. E mi spiego. La nostra Diocesi, da 900 anni, ha dei confini assurdi: alcuni territori comunali sono divisi a metà con la diocesi di Capua e con quella di Acerra. Addirittura, la stazione della città di Caserta, distante meno di un chilometro dal municipio, appartiene a Capua. Per questo motivo, Beatissimo Padre, Le chiedo un intervento risolutore perché le nostre comunità non abbiano più a soffrire a causa di spostamenti inutili e non sia mortificata ulteriormente l’unità pastorale dei nostri fedeli. E’ chiaro, Santità, che Lei nel N. 10 dell’Evangelii Gaudium dice che queste cose appartengono all’episcopato; però, io ricordo che da giovane sacerdote – 47 anni fa – andammo con mons. Roberti – lui era uscito dalla Segreteria di Stato – e portammo un poco di problemi anche là; dissero, dopo aver spiegato le cose: “Mettetevi d’accordo con i vescovi e noi firmeremo”. E questa è una bellissima cosa. Ma quando si mettono d’accordo, i Vescovi?.
(Papa Francesco)
Alcuni storici della Chiesa dicono che in alcuni dei primi Concili i Vescovi arrivavano anche ai pugni, ma poi si mettevano d’accordo. E questo è un segno brutto. E’ brutto quando i Vescovi sparlano uno dell’altro, o fanno cordate. Non dico avere unità di pensiero o unità di spiritualità, perché questo è buono, dico cordate nel senso negativo della parola. Questo è brutto perché si rompe proprio l’unità della Chiesa. Questo non è di Dio. E noi Vescovi dobbiamo dare l’esempio dell’unità che Gesù ha chiesto al Padre per la Chiesa. Ma non si può andare sparlando uno dell’altro: “E questo la fa così e quello la fa là cosà”. Ma vai, dillo in faccia! I nostri antenati nei primi Concili andavano ai pugni, e io preferisco che si gridino quattro cose di quelle forti e poi si abbraccino e non che si parlino di nascosto uno contro l’altro. Questo, come principio generale, ossia: nell’unità della Chiesa è importante l’unità tra i Vescovi.  Lei ha poi sottolineato una strada che il Signore ha voluto per la sua Chiesa. E questa unità tra i Vescovi è quella che favorisce il mettersi d’accordo su questo e su quest’altro. In un Paese – non in Italia, da un’altra parte – c’è una Diocesi i cui limiti sono stati rifatti, ma a motivo della ubicazione del tesoro della cattedrale sono in conflitto nei tribunali da più di 40 anni. Per soldi: questo non si capisce! È qui dove il diavolo festeggia! E’ lui che guadagna. E’ bello poi che lei dica che i Vescovi debbano sempre essere d’accordo: ma d’accordo nell’unità, non nell’uniformità. Ognuno ha il suo carisma, ognuno ha il suo modo di pensare, di vedere le cose: questa varietà a volte è frutto di sbagli, ma tante volte è frutto dello stesso Spirito. Lo Spirito Santo ha voluto che nella Chiesa ci fosse questa varietà di carismi. Lo stesso Spirito che fa la diversità, poi è riuscito a fare l’unità; un’unità nella diversità di ognuno, senza che nessuno perda la propria personalità. Ma, io mi auguro che quello che lei ha detto vada avanti. E poi, tutti siamo buoni, perché abbiamo l’acqua del Battesimo tutti, abbiamo lo Spirito Santo dentro che ci aiuta ad andare avanti.

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